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L'enigma del bello: lectio magistralis di Massimo Cacciari all'Auditorium di Roma

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L’11 maggio si è tenuta all’Auditorium Parco della Musica di Roma una “lectio magistralis” del professor Massimo Cacciari su “L’Enigma del bello”. L’iniziativa si è svolta nell’ambito della candidatura di Civita di Bagnoregio a Patrimonio Unesco, promossa dalla Regione Lazio, ed è stata organizzata al fine di sensibilizzare gli spettatori sulla salvaguardia e sulla conservazione dei nostri beni culturali e delle bellezze paesaggistiche che sempre più spesso rischiano di scomparire. 

Il professor Cacciari ha ragionato con profondità filosofica sulla questione del “bello” dall'antichità ai giorni nostri. Dalle parole del professore si evince una domanda su tutte: oggi il bello salva?

Ecco in sintesi l’interessante percorso filosofico tracciato dal Professor Cacciari:

Il bello si presenta come relazione di insieme di elementi in armonia. I latini usavano il termine di “concinnitas” ossia “elementi che cantano insieme” che equivale ad elementi in armonia. È l’armonia delle relazioni invisibili che fa che qualcosa ci appaia bello. Dunque il bello non è nella cosa che vediamo in sé, ma nell’equilibrio delle relazioni invisibili tra gli elementi che la compongono e che vengono a costituire l’unità che percepiamo. 

"Kalòs” (in greco bello) è ciò che è integro, una forma perfetta. Kalòs vuol dire anche “che chiama”: attraverso il bello siamo chiamati all’invisibile e quindi al buono. Nell’antichità il bello era sempre connesso al buono (kalòs kai agathòs) ossia all’invisibile. L’enigma (da cui il titolo della lectio) è proprio nel paradosso del bello (visibile) che ci fa trascendere oltre il visibile e quindi oltre sè stesso. 

L’esperienza estetica contemporanea mette in dubbio che il visibile sia legato all’invisibile: il concetto di bello è legato solo al visibile e non rimanda ad altro. Mai nessuna arte nella storia è stata così autonoma. Questo è proprio esclusivamente dell’arte contemporanea. Con la riduzione dell’arte a puro artificio viene meno la “via pulchritudinis”, ossia l’esperienza del bello come cammino a Dio e quindi alla salvezza. Allora se nella nostra esperienza estetica contemporanea nel bello non c’è trascendenza ma ci limitiamo al visibile, come possiamo ancora dire che il bello salva?  È immaginabile nella contemporaneità una via pulchritudinis? 

Nella sconnessione della disarmonia di cui facciamo esperienza oggi, non avvertiamo la chiamata all’invisibile armonia che sottende il bello ma piuttosto ne sentiamo la mancanza. 

Ma non è questa assenza, questa mancanza che in fondo ci “chiama” a ciò che cerchiamo, ossia la trascendenza? 

Oggi viviamo la nostra esperienza contemporanea come una “catastrofe estetica”. Ma forse questo non accade proprio perché in fondo ricordiamo e sentiamo la mancanza della concinnitas? 

Allora l’unico modo che oggi abbiamo per salvare il “bello”, l’unica via che possiamo percorre è quella di salvaguardare i suoi modi di apparire, come salvaguardare meraviglie come Civita di Bagnoregio